Lettura inaugurale: Il prezzo della salute

21° Congresso Internazionale SIdP

Ottavio Davini

Nel ventesimo secolo la popolazione del pianeta è passata da 1,5 a 6 miliardi e corre oggi verso gli 8 miliardi; intanto la durata della vita nei paesi evoluti è quasi raddoppiata. Questo è accaduto anche per merito della medicina ma soprattutto del diffuso miglioramento delle condizioni di vita: è un momento eccezionale della storia dell’umanità, ma è anche un momento irripetibile, e dobbiamo acquisirne la consapevolezza. Dilaga invece l’illusione che i progressi scientifici possano consentire un inarrestabile allungamento della nostra vita. Non è così e non lo sarà per molto tempo ancora. La medicina ha salvato più vite negli ultimi cinquant’anni che in tutta la sua storia: nessuno può mettere in dubbio i progressi delle conoscenze scientifiche. Ma con il crescere dei risultati è cresciuta anche la diffidenza: paradossalmente la medicina non ha mai attirato su di sé tanti dubbi e critiche come oggi, e la vicenda pandemia ha favorito questa deriva. Contemporaneamente il modello dominante del consumo si è trasferito alla sfera della salute, portandoci a ‘comprare’ prestazioni sanitarie con la stessa compulsività con cui compriamo vestiti o cellulari. Ma come dalla frenesia consumistica deriva in larga misura frustrazione, così accade per la nostra salute, perché alcuni limiti sono invalicabili e perché l’innalzamento degli standard (durata e qualità della vita) non può continuare all’infinito. Intanto assistiamo a una progressiva medicalizzazione di ogni giorno della nostra vita: la maggior parte di noi ha sensazioni fisiche o emotive che non gradisce e, in passato, ciò era considerato parte dell’esistenza. Sempre di più tali sensazioni sono ora considerate vere patologie. Esperienze quotidiane come insonnia, tristezza, irrequietezza delle gambe o riduzione dello stimolo sessuale vengono etichettate come malattie e curate con farmaci. Ma tanto maggiori sono le prestazioni sanitarie, in particolare in ambito terapeutico, tanto maggiori saranno gli effetti collaterali, con danni a quella salute che ci si proponeva di migliorare; e un eccesso di prestazioni diagnostiche produce un innalzamento inevitabile dei ‘falsi positivi’ (il test diagnostico suggerisce la presenza di una patologia che in realtà non esiste), inducendo una serie successiva di ulteriori approfondimenti (spesso invasivi e potenzialmente dannosi). Occorre che cresca in tutti la consapevolezza (come sta faticosamente crescendo sui temi ambientali) che esistono dei limiti imposti dalla biologia e che si ridimensionino le aspettative, ricordandoci che siamo mortali, che ancora oggi ci sono malattie da cui non si guarisce, che nessun intervento terapeutico è privo di rischi (e molti producono benefici marginali o nulli e danni certi), che non è solo moltiplicando le tecnologie mediche che possiamo migliorare la nostra salute. L’obiettivo deve essere un Sistema Sanitario che conservi l’universalismo, garantisca equità di accesso, lavori per prevenire laddove possibile, utilizzi al meglio le tecnologie disponibili quando è ragionevole il rapporto costo-efficacia, impedisca l’espansione artificiale dei confini delle malattie per interessi industriali, in una parola vada nella direzione di una medicina sostenibile che possa garantire una vita sana, ragionevolmente lunga e non si accanisca laddove è inutile o dannoso.